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Assistenza sessuale, un racconto in prima persona

Posted: Novembre 23rd, 2012 | Author: | Filed under: Documenti, Spizzichi e bocconi | Tags: , , , , , , | Commenti disabilitati su Assistenza sessuale, un racconto in prima persona

Un’intervista realizzata da  pubblicata il 20 novembre 2012 su Il Fatto Quotidiano su assistenza sessuale, disabilità, affettività e sessualità

Oggi voglio farvi leggere un’intervista che ho realizzato. Un’intervista molto particolare. Ci sono vari modi di leggere una storia. La puoi leggere accompagnato dal proprio “io”, dalle proprie idee e convinzioni. Oppure completamente “vuoti”, lasciandosi riempire dalle parole dei protagonisti. La puoi leggere pensando alle proprie esigenze, oppure entrando in empatia con i protagonisti. Questo starà a voi deciderlo. Mi limito a riportare questa storia che mi è stata raccontata, scritta, con grande trasporto e sincerità.
Per chi crede che la “figura” dell’assistenza sessuale possa essere una scelta anche per il nostro Paese, c’è una petizione da firmare: “assistenza sessuale”. E’ una scelta  
Quando nasce il tuo interesse nei confronti dell’assistenza sessuale?
Due anni fa. Avevo da poco letto un libro, non riesco a ricordare il titolo. Era una raccolta di racconti molto particolari, ognuno era dedicato alla storia di una persona che, pur affetta da disabilità grave, aveva trovato il proprio posto nel mondo, riuscendo non solo a superare le normali sfide della vita che attendono ciascuno di noi, ma a realizzare qualcosa di straordinario. Una storia in particolare iniziò a trasformare la mia percezione della realtà, perché aveva davvero il potenziale di spingermi a riflettere, certo, ma anche ad agire.
Fulvio Frisone, poeta, pittore, ma soprattutto, uno dei più grandi fisici italiani. Affetto, a causa di un errore medico al momento della nascita, da tetraparesi spastica. Nascere e crescere con gli arti, ma non poterli usare. Quello che mi colpì profondamente, nel venire a conoscenza della sua storia, fu il ruolo che ebbe la madre nella sua crescita. A un certo punto, semplicemente, si rese conto che proprio figlio rischiava di impazzire. Il bisogno di espressione sessuale, che era precluso anche autonomamente, non gli lasciava un attimo di tregua, e neanche a lei. Non era come imboccarlo, o aiutarlo ad andare al bagno, accudirlo come un bambino nei bisogni primari. Questa era una cosa completamente diversa, moralmente imbarazzante, per taluni riprovevole. Che fare? Cercare qualcuno che lo aiutasse, fu la risposta che si diede e lottò ferocemente, come solo una madre coraggiosa sa fare, per trovare le persone giuste.
Fu lì che iniziai a riflettere in termini di assistenza sessuale. Ovvio che prima non mi fossi mai posta il problema, non è argomento di cui parlano i media, non era un dramma che avesse sfiorato me o la mia famiglia, quello della disabilità, fisica o mentale che fosse. Ho iniziato a chiedermi che cosa si potrebbe provare a essere lucidi, coscienti, dentro un corpo che è in parte o del tutto inutilizzabile autonomamente. Io che avrei fatto? Non lo so, non è qualcosa su cui si può congetturare. Tuttavia, sapevo che cosa mi sarei potuta augurare: di essere aiutata con amore a esprimere tutti i miei bisogni: del corpo, della mente, dell’anima. D’altra parte, trovarsi improvvisamente dentro un corpo che non risponde più può succedere a chiunque, se è destinato a passare per quell’esperienza. Non volevo vivere nella paura che succedesse a me, ma nemmeno vivere nell’indifferenza a questa nuova, improvvisa consapevolezza. Non sapevo come agire, però. Così, confidando nel destino, aspettai un segno.
Il destino decise di aiutarti? Come?
Sì. Il segno arrivò di lì a poco. Lo riconobbi nel momento in cui una comune passione mise sulla mia strada un ragazzo intelligente, brillante, affetto all’incirca dalla stessa patologia di cui avevo letto, senza essermici mai ancora imbattuta.
A quel punto, che cosa decidesti di fare?
Gli domandai come affrontasse nella sua vita il problema della sessualità. Sì, problema, poiché la sua disabilità gli impediva i gesti più elementari. Seppure concepissi la difficoltà nel trovare una partner adeguata, mi riusciva impossibile immaginare una persona che non potesse alleviare autonomamente quel tipo di tensione nel corpo. Mi raccontò di come la prostituzione fosse una realtà cui suo malgrado era stato costretto a ricorrere, di tanto in tanto. Ma che gli era insopportabile la mancanza di empatia, di dolcezza, d’intimità. Le ragazze con cui era stato non erano preparate a confrontarsi con un disabile, non riuscivano a nascondere il disagio e questo lo feriva al punto tale da aver rinunciato a questo tipo d’incontri, pur continuando a soffrire molto per la tensione che accumulava senza possibilità di alleggerirla.
Ti sei offerta di aiutarlo?
Mi sono offerta di aiutarlo. Non me ne sono mai pentita, anche se allora non seppi gestire bene la situazione, non ero pronta a confrontarmi con le implicazioni collaterali, soprattutto emotive, di questo tipo di assistenza. Sapevo di essere la persona adatta, la mia capacità di empatizzare immediatamente, la mia disinvoltura sessuale che mi porta a non avere preconcetti di alcun tipo, la mia naturale inclinazione a prendermi cura di qualunque tipo di corpo attraverso il massaggio, erano tutte doti che non avevo ancora perfettamente focalizzato né messo alla prova, ma sapevo essere quelle adatte per approcciarmi a questa realtà.
Che cosa andò storto, allora?
Molto semplicemente, non ho saputo porre regole e condizioni, perché io stessa ancora non le conoscevo. Non mi sono saputa far rispettare e alla fine, nonostante abbia elargito ben più di quanto, farei adesso, nonostante non mi sia fatta pagare, lui mi ha lasciato addosso una persistente sensazione di disagio: non solo non aveva apprezzato come credevo, ma non è riuscito ad astenersi dal giudizio morale, una volta eliminata la tensione, diciamo così. Come se offrirsi di fare qualcosa del genere, terminata l’oggettiva utilità del tuo servizio, ti releghi in una categoria di “persone indegne”, persino agli occhi di chi ha accettato il tuo aiuto.
Torniamo per un momento a oggi. Hai continuato a offrire assistenza sessuale oppure quell’esperienza ti ha segnato negativamente?
Quell’esperienza mi ha segnato, ma solo per offrirmi un parametro di cosa va inteso per assistenza sessuale. Per quasi due anni non mi sono più imbattuta in questa tematica, né l’ho cercata. Semplicemente, sapevo che se si fosse nuovamente presentata l’occasione, avrei affrontato le cose in modo diverso. Ogni persona porta con sé la propria storia, sofferenza, le proprie sfide. E ogni volta è come ricominciare da capo, ma le regole di base, quelle valgono per tutti. Gli accordi preliminari, innanzitutto. Chi richiede l’assistenza va istruito: non ci saranno penetrazioni, baci, scambi di fluidi, sono io a guidare la partita. Non tutti quelli che chiedono sono accettati, bisogna selezionare al massimo, assicurarsi di non imbattersi in una patologia a rischio, bisogna mantenere il distacco sufficiente a non diventare il fulcro dell’esistenza di chi non riesce a trovare, a causa della sua disabilità, una dimensione affettiva e sessuale. Assicurarsi che ogni sì e ogni no che si decide di dire siano motivati ampiamente e pazientemente (non scordiamo che la maggior parte di queste persone non ha esperienza relazionale con l’altro sesso o la ha minima) e che si mantenga il giusto equilibrio tra dolcezza e severità, insomma. Impresa non da poco. Dovrebbero fare dei corsi appositi.
C’è qualcosa che puoi dirci su come si è svolta la tua ultima assistenza?
Ti parlo di N. Lui mi ha piacevolmente sorpreso. È un uomo colto, intelligente, deciso. Ha provato a dettare le sue condizioni, non c’è riuscito ed ha accettato le mie. A quel punto sì che mi ha messo in condizioni di aiutarlo. Ci ha messo un po’ ad accettare l’assistenza nei termini in cui gliela proponevo, avendo alle spalle una continuativa, seppure insoddisfacente, esperienza di sesso a pagamento con prostitute, per quanto di buon livello, diciamo così. Più volte ha tentennato, incerto se incontrarmi valesse la spesa, dopo tutte le limitazioni che ponevo. D’altra parte, nell’immaginario collettivo, le brave ragazze non accettano soldi per dispensare attenzioni sessuali. Se invece lo fanno, viene da sé che debbano dare un pezzo del loro corpo in cambio, un tanto al buco. Pare funzioni così. Ho deciso di cambiare questa regola odiosa e lui mi ha aiutato, come io con dolcezza l’ho assistito in quel suo opprimente bisogno di alleggerire la tensione sessuale nel corpo. L’assistenza non è assistenzialismo, questo cerco di trasmettere. Una persona che non è autonoma nel corpo ha bisogno di aiuto, mi pare ovvio. Ma l’aiuto non deve diventare una prigione costruita intorno. D’altra parte, l’aiuto che offro, sebbene a pagamento, non deve diventare la mia, di prigione. Non voglio piagnistei, non voglio pretese. Niente tentativi di colpevolizzazione perché non m’innamorerò, perché prendo soldi, perché in cambio dei soldi non faccio come vuole chi paga, ma faccio ciò che so fare nel modo in cui stabilisco io. Qualcuno si sogna forse di pretendere che un’assistente personale debba innamorarsi della persona che assiste? O che lo faccia gratis? Che dire di una terapeuta?
Per chi crede che la “figura” dell’assistenza sessuale possa essere una scelta anche per il nostro Paese, c’è una petizione da firmare: “assistenza sessuale”. E’ una scelta