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Daayiee Abdullah – un’intervista all’imam gay

Posted: Dicembre 3rd, 2011 | Author: | Filed under: Documenti | Tags: , , , , , , | Commenti disabilitati su Daayiee Abdullah – un’intervista all’imam gay

Oggi voglio proporvi una lunga intervista a Daayiee Abdullah, uno dei pochissimi imam dichiaratamente gay.

L’intervista è stata realizzata da Pier Cesare Notaro e pubblicata in due puntate su Il Grande Colibrì all’interno del progetto MOI Musulmani Omosessuali in Italia.

Al di là delle mie personali convinzioni sulle religioni in generale ho trovato nelle parole di Daayiee Abdullah alcuni spunti di riflessione decisamente interessanti e alcuni utili strumenti per contrastare molte delle osservazioni  diffuse da chi, più o meno consapevolmente, pratica e diffonde il pinkwashing e l’omonazionalismo in chiave anti-islam.

Davanti alla condanna dell’omosessualità che viene ripetuta ferocemente da tanti studiosi coranici, le parole e gli studi dell’imam Daayiee Abdullah rappresentano una fonte di conforto e di speranza per milioni di musulmani LGBTQ*. Daayiee, infatti, è un imam che sostiene che l’omosessualità non è un peccato per l’Islam. Di più: Daayiee è un imam dichiaratamente gay, l’imam gay più famoso del mondo, anche se lui si schermisce: “Sono certo di avere una certa notorietà nel mondo, ma da qui a dire che sono il più famoso… Se fosse vero ne sarei davvero sorpreso! Ma lascerò che giudichi chi mi guarda, perché non si creda che sono io a credermi famoso“.

Intervistare Daayiee è davvero difficile. Non perché sia schivo – anzi, è una persona molto affabile, alla mano e disponibile al confronto. Non perché abbia paura delle minacce, pur pesanti, che subisce da anni. Il problema è che l’imam corre da un punto all’altro del pianeta per assistere le diverse comunità LGBTQ* islamiche del mondo e per lui riuscire a ritagliarsi mezz’ora di tempo è davvero un’impresa. E’ per questo che siamo particolarmente orgogliosi che Daayiee, felice del fatto che finalmente anche in Italia si sia aperta una riflessione seria su Islam e omosessualità, abbia accettato un lungo (altro che mezz’ora!) ed approfondito confronto con noi.

Oggi Daayiee ci racconterà la sua vita, i suoi studi, la sua esperienza di imam e quali sono le maggiori difficoltà delle persone LGBTQ* musulmane che ha incontrato. Ma l’intervista ha anche un seguito in cui affronteremo con questa guida spirituale alcuni aspetti più propriamente teologici.

Continua a leggere:
Daayiee Abdullah, l’imam gay: la vita
Daayiee Abdullah – l’imam gay: le idee

 


Pinkwashing e l’uso di Israele dei gay come strumento di propaganda

Posted: Novembre 28th, 2011 | Author: | Filed under: Documenti | Tags: , , , , , , , , , , | Commenti disabilitati su Pinkwashing e l’uso di Israele dei gay come strumento di propaganda

Una campagna lanciata dal ministero del turismo israeliano per un costo di 90 milioni di dollari ha promosso Tel Aviv come meta internazionale di vacanze gay e lesbiche, presentando il paese come uno dei paradisi dei diritti.

L’iniziativa viene sul “New York Times” dalla scrittrice lesbica Sarah Schulman, che accusa il governo israeliano di “pinkwashing”, cioè di una “deliberata strategia di nascondere le continue violazioni dei diritti umani dei palestinesi dietro una immagine di modernità simboleggiata dalla vita gay in Israele”. I gay vengono usati come messaggio pubblicitario e propagandistico, come avviene in tutti i casi in cui viene praticata “la cooptazione di persone gay bianche da parte delle forze politiche anti-immigrazione e anti-musulmane nell’Europa occidentale e in Israele”. In altre parole, denuncia Schulman, i diritti lgbt vengono utilizzati dalle destre facendo leva sul razzismo e sulla xenofobia, e rendendo invece “invisibile il ruolo che i fondamentalisti cristiani, la chiesa cattolica romana e gli ebrei ortodossi giocano nel perpetuare la paura e persino l’odio nei confronti dei gay”.

La campagna turistica israeliana  sulla “international gay vacation destination” diventa nell’articolo di Schulman ” Israel and ‘Pinkwashing’ “, pubblicato il 23 novembre scorso, il punto di partenza per un’analisi di questo “nefasto fenomeno” sempre più diffuso nell’Europa xenofoba, e ora sfruttato come strumento propagandistico nel conflitto palestinese.

Il “paravento della modernità” occulta e manipola non soltanto le difficili conquiste della comunità lgbt israeliana, ma anche l’esistenza di forti organizzazioni lgbt in Palestina. Schulman conclude: “Ciò che rende lesbiche, gay, bisessuali, transgender e i loro alleati così esposti al pinkwashing – e al suo corollario, la tendenza tra gay bianchi a privilegiare la loro identità razziale e religiosa, un fenomeno che il teorico Jasbir K. Puar ha chiamato ‘omonazionalismo’ – è l’eredità emotiva dell’omofobia. La maggior parte dei gay hanno sperimentato l’oppressione in modi profondi: nella famiglia, in rappresentazioni distorte nella cultura popolare, nella sistematica disuguaglianza legale che solo adesso comincia appena a diminuire.

L’aumento dei diritti gay ha portato persone in buona fede a giudicare in modo errato quanto sia avanzato un paese in base alla sua reazione all’omosessualità. In Israele, i soldati gay e la relativa apertura di Tel Aviv sono indicatori incompleti dei diritti umani – proprio come, in America, l’espansione dei diritti gay in alcuni stati non controbilancia violazioni dei diritti umani come l’incarcerazione di massa. La realizzazione, a lungo sognata, di alcuni diritti per alcuni gay non dovrebbe renderci ciechi nei confronti delle lotte contro il razzismo in Europa e negli Stati Uniti, oppure della persistenza palestinese su una terra da chiamare casa”.

Sarah Schulman, nata nel 1958 a New York, romanziera, commediografa e saggista, da sempre politicamente impegnata nel movimento delle donne e in quello lgbt (è stata tra le fondatrici delle “Lesbian Avengers” nel 1992), ha suscitato con il suo articolo – che riprende alcune tesi del suo libro di prossima uscita “Israel/Palestine and the Queer International” – polemiche e lettere di risposta al giornale.

Vedi: New York Times – Pinkwashing and Israel use of gays as a messaging tool