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Razzismo incendiario e controllo dei corpi a Torino

Posted: Dicembre 12th, 2011 | Author: | Filed under: Documenti, Repressione | Tags: , , , , , , , , , | Commenti disabilitati su Razzismo incendiario e controllo dei corpi a Torino

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Due commenti (interessanti ma che condivido solo in parte) tratti dal blog di Michela Murgia e da Femminismo a Sud sull’incendio al campo nomadi di Torino, sul controllo dei corpi nella nostra società e sul razzismo imperante. De-responsabilizzare e in qualche modo giustificare la ragazza torinese che ha dato il via a questa ondata di violenza non è secondo me corretto. Per me è e resta una ragazza razzista e pericolosa.

Ma provare a ragionare sul controllo dei corpi in questa società è altrettanto importante: dichiarare di essere stata stuprata è più socialmente accettabile a Torino, nel 2011, di una scelta autodeterminata sulla propria sessualità?

Giusto per aggiungere una ulteriore nota di orrore, alla manifestazione razzista che è poi degenerata in attacco incendiario al campo ha partecipato anche la segretaria provinciale del Partito Democratico e presidente di quartiere Vallette Paola Bragantini che, dopo aver giustificato e incoraggiato con la sua partecipazione un corteo apertamente xenofobo si meraviglia e fa l’anima bella sui giornali appena il razzismo si manifesta nell’aggressione fisica e negli attacchi incendiari alle abitazioni presenti al campo nomadi. Giusto per ricordare che la xenofobia e il razzismo sono trasversali

#torinoburning Inventarsi il mostro

Una ragazzina torinese ha detto di essere stata violentata da due rom. La fiaccolata a suo sostegno però è finita in rogo ieri sera, con un campo nomadi bruciato alla periferia di Torino. Poi la ragazzina ha detto che non era vero niente, che non l’ha stuprata nessuno, tantomeno i rom. Era stata con un ragazzo italiano ed era forse la sua prima volta.

La notizia grossa è quella del pogrom, ennesimo frutto di una cultura dove si cresce imparando a temere il diverso e lo straniero, a prescindere dal fatto che sia colpevole o non lo sia. Immagino che si troverà senza difficoltà qualcuno pronto a dire che se non era vero stavolta lo sarebbe stato comunque la prossima. Il fatto che questa cultura negli ultimi vent’anni sia riuscita a generare sindaci, assessori, presidenti di provincia e ministri a vario titolo ha aiutato molto a farla passare dal bancone del bar al senso comune. Di essere razzista c’è chi ha smesso di vergognarsi da tempo.

La notizia secondaria, ma per me rilevantissima in questo giorno in cui le donne scendono in piazza per dire che la differenza la facciamo noi, è che una ragazzina di sedici anni crede che sia meno pericoloso e grave per lei dire che è stata violentata da due stranieri piuttosto che ammettere di aver fatto l’amore volontariamente con un ragazzo del posto.

Se una ragazza fa una cosa simile è perché sente che se dicesse la verità, cioè se dichiarasse di aver agito sessualmente in modo volontario, andrebbe incontro a qualche tipo di sanzione sociale e familiare, cioè che verrebbe percepita e trattata come “colpevole” di qualche infrazione. Del resto sono di questi giorni altri di casi in cui dire “sono io che lo voglio” non conviene. Probabilmente è in un clima simile che la ragazzina di Torino deve aver pensato che le conveniva passare per vittima piuttosto che per consenziente. A quel punto bisognava solo scegliersi il colpevole più facile, uno che magari non sarebbe mai stato trovato. Quello che basta la parola: rom. La ragazzina certo non poteva prevedere che i suoi concittadini avrebbero usato la sua condizione di vittima come strumentale innesco della loro voglia (antica) di dar fuoco ai campi rom di ogni latitudine. Però è successo.

Ora. Giustissima la critica al razzismo. Giustissimo chiedersi che cosa sta succedendo a Torino.

Ma spero che qualcuno si faccia domande anche su che tipo di società è quella che induce una giovane donna a credere che la condizione di stuprata sia per lei socialmente più vivibile di quella di chi fa sesso perché lo ha deciso.

Via: Michela Murgia

 

 

Donne: ci rubano anche il dolore

Che sarà mai di noi se essere donne significa soltanto essere oggetti di monopolio attraverso i quali si realizzano forme di oppressione degli esseri umani tutti. Due sedicenni, una bugiarda e l’altra un po’ incinta. Una autorizzata a denunciare una violenza solo se compiuta da persone di etnia rom, al punto da inventare che costoro fossero appartenenti a un gruppo invece che ad un altro, rom invece che italiani, forse, rom invece che persone più vicine, come spesso accade, rom invece che nessuno. L’altra condotta davanti un giudice perché un tale, di nazionalità albanese, l’aveva messa incinta e i genitori di lei non hanno gradito: la gravidanza, il futuro sprecato della vita della figlia, tutto compromesso, la presenza di questo ragazzo, di cui si parla come di un violento, nella vita della figlia.

Due ragazzine, entrambe strumentalizzate, infine, al di là delle loro singole vicende, più o meno devastanti, più o meno complicate, che avrebbero dovuto poter viversi con il rispetto a loro dovuto. Che avrebbero dovuto poter capire ed essere lasciate in pace, con la sola responsabilità dei genitori a discutere del loro futuro, ché se padre e madre capiscono che per una figlia qualcuno sarà dannoso e un figlio potrà essere solo una costrizione, non vedo perché la questione debba diventare di dominio pubblico, chi ha rotto il vincolo della privacy e perché, chi ha deciso che in quella particolare vicenda dovevano metterci becco soggetti esterni, padre, stato, movimento per la vita, che te lo ritrovi in tutte le mutande a sentenziare su cosa è giusto e cosa no come se quella gente fosse qualcosa d’altro rispetto ad una massa di integralisti quale effettivamente è. Ché se dovevano decidere per un si o un no erano affari loro o forse, più semplicemente, avrebbe dovuto scegliere lei senza che si pigiasse il tasto della xenofobia per cui un aborto per compiere una azione di pulizia etnica va bene e uno frutto di libera scelta per embrioni il cui seme non ha nazionalità, perché non ce l’ha a prescindere, invece no. E se la ragazzina doveva denunciare di essersi sentita trascurata o molestata o chissà che, avrebbe dovuto poterlo fare a prescindere da quale fosse la nazionalità dei molestatori.

Due ragazzine strumentalizzate, ciascuna per compiere due operazioni mediatiche e due azioni di un razzismo atroce. La cacciata dell’albanese nel caso della ragazzina incinta e l’incendio di un intero campo rom per “vendicare” il presunto stupro.

Dopodiché la stampa si chiede come mai e finge sorpresa. Ma veramente ci si può sorprendere della sete di linciaggio immorale di gente ignorante e idiota cresciuta a pane e battute razziste contro i rom?

E di tutto quello che a questo proposito poteva essere messo in evidenza naturalmente l’accento va sulle colpe di questa ragazzina, la bugiarda, perché in fondo la colpa di tutto è sempre delle donne, o delle ragazzine, perennemente sole, sempre sbattute al muro, carne da macello, aggredite dall’omertà che tutela stupratori e pezzi di merda, sempre in discussione salvo per santificarle se diventano funzionali alle ragioni del movimento per la vita o di quelle dei razzisti dell’ultima ora.

E naturalmente, appunto, sui quotidiani i titoli non individuano le cause reali dell’incendio al campo rom. Non parlano della furia cieca di gente di merda che approfitterebbe di qualunque pretesto pur di dare fuoco a luoghi in cui ci sono donne, uomini e bambini. Insomma a questo servono le donne in Italia, come corpi di servizio per una fallocrazia che oggi decide se rafforzare lo stereotipo della donna incubatrice a tutti i costi e quello dell’indifesa vittima di mostri stranieri da sbattere in prima pagina o da mandare al rogo, nel 2012, salvo poi crocifiggere quella stessa donna se si scopre che il rogo perde di legittimità.

Non è mai colpa di chi accende il fuoco, di chi odia a tal punto da approfittare di tutto pur di fare male ad altri. Non è mai responsabilità di chi non lascia che una sedicenne abbia rapporti sessuali ben protetta, ché se non ci fosse il movimento per la vita o gente affine a rompere le ovaie e i coglioni con i divieti a pronunciare la parola “profilattico” e a rintracciare una pillola del giorno dopo non ci sarebbero le sedicenni incinte ma solo ragazzine che esplorano i corpi e la sessualità com’è giusto che sia.

Siamo in Italia, l’11 dicembre del 2011, eppure sembra medioevo e medioevo, probabilmente, in effetti, è.

Le donne e le ragazzine sono solo donne e ogni strumentalizzazione in rosa, ogni finta difesa dei corpi delle donne per compiere operazioni di colonizzazione culturale è solo un ulteriore stupro che agisce sulla vita di tutte noi.

Via: Femminismo a Sud

foto di Alessandro Contaldo/Phtotonews – Repubblica.it


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