Mi chiamo Italo, odio i froci ma amo il mio camerata
Posted: Luglio 26th, 2008 | Author: porno | Filed under: Documenti, Spizzichi e bocconi | 1 Comment »E’ da qualche tempo che ci rifletto e oggi ho trovato un ulteriore spunto interessante su Liberazione che vi ripropongo
Mi chiamo Italo, odio i froci ma amo il mio camerata
Da Pim Fortuyn ai gay del Grand Old Party statunitense.
Da “Gaylib, l’associazione nazionale dei gay liberali e di centrodestra” alla frequentazione dei centri sociali e dei forum neofascisti. Cosa succede quanto la cultura lgbt incontra la destra, “nuova” o nostalgica che sia? Appunti da un primo viaggio in un fenomeno emergente ma contraddittorio
Liberazione – 26/07/2008 – Elena Biagini
Pim Fortuyn, il politico olandese che fu assassinato il 6 maggio 2002, era un personaggio tanto controverso da essere stato definito di volta in volta come un razzista xenofobo, un libertario, un fascista, un sostenitore dei valori della sinistra, un leader dell’estrema destra… Fortuyn esprimeva posizioni decisamente liberiste e, attraverso la lista che aveva costruito per le legislative del 2002, Lijst Pim Fortuyn, aveva raccolto le simpatie di molti elettori di estrema destra, pescando nel bacino del partito Leefbaar Nederland (Olanda vivibile). A caratterizzare la sua politica erano le posizioni fortemente contrarie all’ingresso in Olanda di emigranti di religione islamica: «Io sono anche a favore di una guerra fredda con l’Islam. Io vedo l’Islam come una minaccia straordinaria, come una religione ostile». Ma Fortuyn, paragonato spesso per la xenofobia a Le Pen, era anche un gay «che aveva fatto della visibilità e dell’orgoglio omosessuale un tratto significativo della sua figura anche politica, sosteneva i diritti di gay e lesbiche, i diritti delle donne, il diritto al consumo delle droghe leggere, il diritto di ricorrere all’eutanasia» (Roberta Padovano). Nel 2002, quando, a causa del suo omicidio si parlò molto di Fortuyn anche sui media italiani, le sue posizioni ne facevano un personaggio quasi incomprensibile per la nostra cultura politica.
Che i gay siano tutti di sinistra, almeno per buon senso, nessuno lo pensa eccetto Berlusconi che lo scorso anno affermò: «Sono tutti dall’altra parte». Una cosa del tutto diversa è però quando si parla del movimento lgbt: in Italia quest’esperienza politica trova le sue origini nell’ambito dei movimenti autonomi ed extraparlamentari degli anni ’70 così come negli USA nasce nel 1969, nell’anno delle proteste alla Columbia University, a fianco della lotta del Women Liberation Front e delle Black Panthers; in Italia anche le esperienze di cultura più riformista degli anni ‘80/’90, trovano la loro collocazione nell’Arci, a fianco quindi dei partiti di sinistra.
In questo panorama rappresenta una prima forte discontinuità la figura di Enrico Oliari: “uomo della destra sociale”, iscritto ad Alleanza nazionale, eletto presidente di Arcigay Trento nel 1995 spinge per una trasversalità politica dell’associazione, sostenendo che debba rappresentare tutti i gay, anche quelli di destra, invece poi, nel 1997 fonda “Gaylib, l’associazione nazionale dei gay liberali e di centrodestra”. Gaylib rimane in questi anni ai margini del movimento lgbt, sia per i numeri sempre molto contenuti, che per mancanza di alleanze interne ed esterne. Sale ad una parziale ribalta delle cronache quest’anno quando decide di organizzare il pride della destra gay a Provesano di San Giorgio della Richinvelda (Pordenone), sulla tomba di Pim Fortuyn, che intende celebrare per «i valori saldi nella tutela delle libertà individuali e dell’identità occidentale». Gaylib ne sposa in pieno le idee di chiusura e criminalizzazione dei e delle migranti provenienti da paesi a maggioranza islamica tanto che nel 2004 si univa alla battaglia leghista contro la costruzione della moschea a Bolzano: «Le moschee sono ricettacoli di persone che rifiutano sia le libertà individuali conquistate sia quella da conquistare». Il “pride di destra” di Gaylib avrebbe dovuto concludersi con la partecipazione al corteo dell’orgoglio di Lubiana, per contestare i pride italiani che «sono manifestazioni di sinistra che discriminano chi di sinistra non è», ma da Lubiana fanno sapere che da loro non sono ben accetti i berlusconiani che, oltretutto, celebrano un «fascista xenofobo», Fortuyn appunto.
La militanza gay in partiti di destra non è un fatto solo italiano: si pensi, ad esempio agli USA dove «Il partito repubblicano, noto agli americani come Grand Old Party, non è ancora il Gay Old Party, ma al suo interno le cose stanno cambiando», scrive The Advocate , noto mensile gay a stelle e strisce. Emblema del cambiamento è Patrick Guerriero: «Al contrario delle precedenti generazioni di omosessuali conservatori – continua la rivista – Guerriero non ha avuto paura di dichiarare la propria omosessualità in pubblico. Certo, in un partito che solo dieci anni fa dichiarava la guerra culturale contro l’omosessualità, e in cui ancora oggi sono presenti uomini politici dichiaratamente omofobi, la corsa di Guerriero sarà dura».
E’ un fatto che intellettuali gay, (Fortuyn ma anche Sullivan, repubblicano statunitense, cattolico, autore di Praticamente normali ), maschi e bianchi, abbiano espresso idee lontanissime da quanto i movimenti lgbt hanno espresso dagli anni ‘70, idee inconciliabili con un approccio di liberazione globale. Le posizioni riportate fin qui chiaramente non sono condivisibili da chi nei movimenti lgbt pensa che la propria collocazione politica sia in un contesto più ampio di movimento, che si spende per un mondo altro, dove le lotte delle lesbiche, dei gay, dei e delle transessuali si intrecciano con le lotte contro sessismo, razzismo, fascismo e neoliberismo e incrociano una lettura di classe. Questa è per certo l’ottica dei movimenti lesbo-femministi di inizio anni ’80 ma anche del “sommovimento” lesbico e femminista che lo scorso 24 novembre ha portato in piazza a Roma 150.000 donne contro la violenza maschile sulle donne ma anche contro la logica securitaria e razzista del pacchetto sicurezza. E’ anche l’ottica dei movimenti queer americani e di una parte dei movimenti europei (ad esempio della “Red por el descontrol sexual” che si è riunita a Roma, al Forte Prenestino, nel febbraio scorso) e di una fetta importante del movimento lgbt italiano dalla sua nascita ad oggi.
Ma anche in Italia la collocazione tutta a sinistra della “questione omosessuale” presenta numerose crepe e “infiltrazioni” che in questo momento confuso sembrano scoppiare improvvisamente. Così, ad esempio, si apre un primo aspro dibattito in occasione del pride di Roma dello scorso 7 giugno in merito al se e al come relazionarsi con il neosindaco Alemanno, giacca e cravatta su una celtica ancora al collo.
Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay Nazionale, Imma Battaglia di Di’ Gay Project e Fabrizio Marrazzo di Arcigay Roma, inviano una lettera aperta al sindaco di Roma assumendosi il compito di «dialogare con tutte le forze democratiche, senza pregiudiziali politiche di sorta», riconoscendo come «la destra italiana abbia fatto un percorso importante nello sganciarsi dall’eredità storica e politica del fascismo», convinti che uno scontro “destra-sinistra” sarebbe nocivo alla causa. La lettera scatena subito contrasti tanto che Francesca Grossi inizialmente la firma come presidente di Arcilesbica Roma ma poi viene sollevata per questo dall’incarico. Infine Arcigay Roma e Di’ Gay Project non aderiscono al Romapride che invece afferma fortemente «la sua scelta antifascista e antirazzista». Di’ Gay Project organizza, a tre giorni dal pride, il convegno “Gay pride made in Italy, quale modello?”, un confronto che ha le sue basi nell’assioma dell’«importanza della trasversalità politica, perché – scrive DGP – non potremmo mai raggiungere i nostri obiettivi sui diritti civili senza avere un ampio consenso politico e sociale».
Così Battaglia dibatte di quale pride sia meglio per il nostro paese, ricordando di essere stata l’antesignana delle aperture a destra, avendo iniziato il dibattito anche con Storace quando questi guidava la Regione Lazio; con lei, tra gli altri, dibattono Croppi, assessore alla cultura della giunta Alemanno e Della Vedova, deputato del PdL. Della Vedova è stato l’unico esponente della destra presente sia al world pride del 2000 che al pride di Bologna di quest’anno, convinto che «un partito che rappresenta il 40% degli elettori, tra cui, senz’altro, una parte importante degli omosessuali italiani, non possa essere insensibile alle istanze» dei diritti civili, così come, ricorda, accade per altre destre europee da quella britannica a quella spagnola.
Un altro conflitto politico prende forma intorno al pride di Bologna per l’inclusione nella campagna di comunicazione del pride stesso dell’immagine di “Italo”. La campagna di comunicazione era composta dalle immaginette manga di quindici esempi di partecipanti al pride, riportati su cartoline e manifesti, da “Gustavo cattolico e praticante” a “Emma pacifista e pasionaria dei diritti” a “Italo, odia i froci ma ama il suo camerata”. “Italo” è rappresentato come un giovanotto biondo, rasato, maglietta nera con bordi tricolore e celtica in vita, la didascalia recita: «Essere maschio significa picchiare, soprattutto i froci, meglio se in tanti contro uno, perché l’onore virile deve essere difeso. Se poi ti accorgi che il sabato sera a Casa Pound, al concerto del tuo gruppo nazirock preferito la vista del tuo camerata a torso nudo ti eccita, ti racconti che non importa perché tanto tu e lui siete camerati e poi non puoi essere frocio perché non ti senti “sensibile”, non vesti alla moda, non ascolti Madonna». Sembra così che l’invito a partecipare al pride non sia più rivolto ad una soggettività politica, ma a portatori e portatrici di un omoerotismo trasversale. Nella cartolina di “Italo” si cita un’esperienza specifica del neofascismo: Casa Pound. Ed è proprio con i camerati di Casa Pound che alcuni gay nell’orbita del movimento, tentano aperture.
Su http://lampidipensiero.wordpress.com Guido Allegrezza, autore del blog, membro di Rainbow Choir (il coro che sul palco del pride di Roma ha cantato l’Inno di Mameli), libero battitore del movimento a Roma, racconta la visita che ha fatto il 20 giugno scorso a Casa Pound in occasione di un raduno nazionale insieme a Federico (autore a sua volta del blog www.kaletraforever.com). Il resoconto pubblicato su Lampi di pensiero, racconta di saluti “gladiatori” e socialità tra teste rasate e magliette d’ordinanza e dell’incontro con Gianluca Iannone, leader dei camerati in rotta con Fiamma Tricolore, direttore della rivista Occidentale (nomen omen), fondatore di una delle più truculente band di rock fascista, gli Zeta Zero Alfa, di Blocco Studentesco e Radio bandiera nera, protagonista anche di un’incursione nel pride romano, dove, con un gruppo di camerati ha cercato di intrufolarsi, con tanto di bastoni (ripresi in video) sostenendo poi che passavano di là per caso diretti ad un matrimonio in Campidoglio.
Ma i due visitatori, che si qualificano come esponenti del movimento lgbt, uno di Sinistra Democratica, l’altro anarcoide, si ritengono soddisfatti del fatto che Iannone dichiari che il movimento da lui animato «non ha nulla contro le persone glbt, ma è contrario all’adozione». «Forza Nuova è omofoba e clericale, noi no», avrebbe affermato poi Iannone, riportato sul blog Kaletra, come se posizioni anticlericali fossero una novità per l’estrema destra. Sul blog di Allegrezza troviamo anche il post, “Agli amici coraggiosi” di solidarietà per Lorenzo Q. Griffi (l’ideatore della controversa campagna del Bologna Pride, il “padre” di “Italo” quindi), membro del Direttivo che quel pride ha organizzato, fortemente criticato per le sue frequentazioni di forum dell’estrema destra come Vivamafarka – «per curiosità» scrive lui -, forum in cui si lancia in affermazioni quali: «Verosimilmente il fatto che è stata proprio l’interazione col comitato pride che mi ha reso “fascista”». Poi però in una lettera aperta un po’ ritratta («fascisti, questa cosa ovviamente mi mette a disagio»), un po’ spiega che si tratta di «una destra nazionalista, ma contraria a CPT e reato di clandestinità. Un ambiente in cui atteggiamenti apertamente omofobi venivano stigmatizzati» e comunque in un’epoca in cui, aggiunge Griffi, si ha notizia di «tafferugli tra fazioni differenti di sedicenti “antifascisti” e in cui il movimento lgbt è litigioso al suo interno e perde tempo e stile (a suo avviso) con il linguaggio sessuato, si trovano tutti i motivi per cercare altrove». Per esempio in forum di discussione dove razzismo, sessismo, omofobia, autoritarismo vengono sfoggiati con “maschia” baldanza. E che sia la connotazione “maschia” a divenire motivo di attrazione per alcuni è un elemento che può passare per la testa.
Quello che possiamo affermare con certezza è che quelle raccontate sono esperienze singole e portate avanti da persone che si immedesimano nel ruolo dell'”intellettuale d’avanguardia”. Tardivi epigoni di Marinetti? Certo oggi gli unici avanguardisti futuristi che troviamo in giro sono i fascisti del Circolo futurista di Casal Bertone (Roma), aderente a Casa Pound, e un certo post-modernismo sembra divenuto un gioco fine a se stesso, dalle connotazioni politicamente ambigue. Niente a che vedere comunque con l’analisi complessa e marxista di Pasolini. Né tanto meno con la profonda decostruzione della maschilità operata da Mario Mieli in Elementi di critica omosessuale , dove, tra l’altro l’autore afferma «La complicità (tra vittima e carnefici, ndr) si riferisce dunque all’atto sessuale mancato, inconsapevolmente desiderato e tradotto in violenza da parte dell’eterosessuale.[…] Nel contesto sociale in cui il desiderio gay viene fortemente represso a volte può capitare che l’omosessualità maschile si manifesti soltanto a condizione di assumere connotazioni ipervirili e antiomosessuali». Stralci questi dell’analisi che Mieli premette alla costruzione di un “gaio comunismo”.
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